Trent’anni fa la “morte civile” del supertestimone Piero Nava…

La copertina del libro "Io sono Nessuno" di Piero Nava
La copertina del libro "Io sono Nessuno" di Piero Nava
La copertina del libro “Io sono Nessuno” di Piero Nava

Esattamente trent’anni fa, con un colpo di spugna, fu cancellata la vita di Piero Ivano Nava, un agente di commercio originario di Sesto San Giovanni, in provincia di Milano. Il 21 settembre 1990 divenne un uomo in fuga, un padre di famiglia che vive all’estero sotto falso nome con ciò che gli passa segretamente lo Stato.

Quella mattina sulla Strada Statale Canicattì-Agrigento, fra le aride sterpaglie di un vallone, fu trovato il corpo del giudice Rosario Livatino. Lui, cresciuto nel profondo nord, che si trovava in Sicilia per lavoro, capitò per uno tragico scherzo del destino al volante della propria Lancia Thema sul luogo dell’agguato.

Vide a lato della strada una Ford Fiesta rossa amaranto con la portiera di destra aperta. Accanto un ragazzotto con il viso coperto da un casco. Più in là un altro uomo. Stava scavalcando il guard-rail. Aveva il volto scoperto, stringeva sulla destra una pistola.

Il giudice Rosario Livatino era nato a Canicattì il 3 ottobre 1952
Il giudice Rosario Livatino era nato a Canicattì il 3 ottobre 1952

Inseguiva Rosario Livatino, che era già stato colpito ad una spalla. Il magistrato, appena 38enne, stava tentando la fuga in un campo di erba bruciata e arbusti. Il killer della mafia lo braccò come una bestia. Lo colpì da lontano e, una volta abbattuto, sparò ancora, quattro volte, per finirlo. Piero Ivano Nava fece in tempo a vedere bene l’omicida in faccia. Raggiunse Agrigento e chiamò il 113: “Ho visto l’assassino. Se lo trovate, saprei riconoscerlo….”.

E lo riconobbe. I killer, Domenico Pace, Paolo Amico e Gaetano Puzzangaro, vennero arrestati a Mannheim dalle autorità tedesche su richiesta della Procura della Repubblica di Agrigento.

Da tranquillo rappresentante per il Mezzogiorno dell’azienda di porte blindate Dierre di Villanova d’Asti, che peraltro lo licenziò dopo nemmeno un mese “per non avere guai”, divenne improvvisamente un supertestimone di mafia, il primo. Lasciò la casa a Monte Marenzo, allora nella Bergamasca, dal 1992 Comune in provincia di Lecco.

La Ford Fiesta del magistrato Rosario Livatino il 21 settembre 1990
La Ford Fiesta del magistrato Rosario Livatino il 21 settembre 1990

Fu cancellato dai registri dell’anagrafe, dall’elenco telefonico, dal ricordo dei parenti e degli amici. Da quel giorno la sua vita e quella della famiglia cambiò definitivamente. È come se fosse morto. Piero Ivano Nava, denunciando gli assassini del “giudice ragazzino”, per usare le parole di Francesco Cossiga, ritenne di aver compiuto un atto normale, invece si trovò proiettato in una specie di noir americano.

A distanza di trent’anni la sua “assenza” parla per lui. E da allora parla di un uomo molto coraggioso. “Perché lo ha fatto”, gli chiese Giuseppe D’Avanzo de “la Repubblica”. Rispose: “Siamo noi che facciamo lo Stato. Giorno per giorno. Con i nostri comportamenti, la nostra responsabilità, le nostre scelte. Con la nostra dignità. Che avrei dovuto fare? Chiudere gli occhi? Tirare innanzi per la mia strada? No, non sono stato educato a questo modo. Mi sono comportato come mi hanno educato. Non rinnego nulla. Potessi tornare indietro, alzerei ancora la cornetta di quel telefono…”

“Io sono nessuno” (libro pubblicato in concomitanza con il trentennale della morte del magistrato Rosario Livatino)